Documento 7 – Carenza di personale sanitario

La salute prima del mercato…

… Cambiamo l’europa !

Vogliamo un’Europa che affronti la carenza di personale sanitario proteggendo i paesi più deboli dalla fuga dei professionisti verso i paesi più ricchi.

Per la salute di tutte le popolazioni, garantire condizioni salariali e di lavoro di qualità al personale sanitario locale per assicurare un buon livello di cura, rendere queste professioni sostenibili e restituire loro una prospettiva positiva di lavoro per i giovani.

Il ruolo dell’Europa

La pandemia di Covid-19 ha evidenziato che l’Europa possiede competenze molto solide nel campo della sanità pubblica, che vanno ben oltre a quanto previsto dall’articolo 152 CE che stabilisce che “è garantito un elevato livello di protezione della salute umana nella definizione e nell’attuazione di tutte le politiche e azioni della Comunità”.

Il principio fondatore dell’UE sulla libera circolazione e l’insediamento dei professionisti e delle imprese comporta rischi significativi per la salute pubblica. Le direttive cercano ad esempio di armonizzare i requisiti formativi, ma il controllo in materia rimane principalmente di competenza nazionale. In un rapporto del Senato francese si può leggere: « All’interno del Quadro del semestre europeo 2020, il rapporto per la Francia pubblicato dalla Commissione europea lo scorso 26 febbraio specifica che le condizioni di accesso a determinate professioni regolamentate e una serie di regolamentazioni e tariffe imposte non favoriscono gli investimenti. La Commissione aggiunge che queste restrizioni hanno un impatto negativo sul dinamismo delle imprese, sulla competitività e sull’offerta di servizi professionali, a discapito del consumatore finale. Queste raccomandazioni vanno nella direzione delle osservazioni formulate dall’OCSE: aprire maggiormente le professioni regolamentate e continuare a semplificare le relative regolamentazioni potrebbe stimolare la crescita della produttività e aumentare il PIL pro capite. Tuttavia, questa assimilazione delle professioni sanitarie a qualsiasi altra attività economica e commerciale preoccupa i professionisti del settore sanitario, che la considerano incompatibile con l’esercizio della missione di interesse generale a favore dei pazienti.. »[1]

Il personale sanitario, già sotto pressione a causa dei tagli ai sistemi sanitari, in particolare a causa delle pressioni europee, ha pagato un alto tributo alla pandemia, sia in Europa che nel mondo. Anche se la Commissione ha dovuto allentare la pressione sul bilancio degli Stati e ha stanziato ingenti risorse nell’ambito del piano di ripresa e resilienza, è evidente che le misure adottate non riescono a invertire la tendenza. Inoltre, una parte significativa di questi budget si inserisce in una dinamica di privatizzazione e commercializzazione della sanità.

Queste professioni in gran parte formate da donne, hanno subito un massiccio deterioramento delle loro condizioni di vita, in particolare a causa della difficoltà nel conciliare il duro lavoro imposto dalla pandemia e l’intensa pressione legata alla cura dei figli e dei partner a casa.

L’invasione russa in Ucraina e il conflitto in medio-oriente hanno aumentato la pressione sulle economie nazionali ed europee: non è passato molto tempo prima che i fondi inizialmente destinati al miglioramento delle condizioni di lavoro del personale sanitario venissero dirottati verso l’aumento delle spese energetiche e militari. 

Le conseguenze non si sono fatte attendere :

Le difficoltà psico-fisiche nell’ambito delle professioni sanitarie si sono diffuse ampiamente, nonostante gli applausi. La gestione dell’uscita dalla crisi è stata disastrosa. Invece di implementare misure di valorizzazione, di consentire al personale di prendersi una pausa e di offrire prospettive reali per professioni sostenibili, la « pressione terapeutica » (patologie non trattate durante la pandemia) e economica (mancanza di reddito per i medici in molte discipline) ha portato, al contrario,ad una ripresa intensiva generale dell’intera attività sanitaria. Il personale, già in numero insufficiente, ha visto ulteriormente peggiorare le proprie condizioni di lavoro, alimentando così un circolo vizioso che ha portato a una scarsità quasi generalizzata, aggravata dalla percezione negativa tra i giovani potenziali professionisti che potevano essere interessati ad un ingresso in questi ambiti.

A questo si aggiungono le derive di un management autoritario e la sofferenza etica derivante dalla perdita di senso, causata a sua volta da una intensa pressione sul lavoro, la frammentazione delle cure, il carico amministrativo e l’impossibilità di mantenere una relazione umana con i pazienti. In un ambiente in cui si favorisce l’individualismo e in cui il senso di comunità si sgretola, la ricerca di soluzioni è affidata a ciascun professionista, in solitudine.

Le conseguenze sono un elevato tasso di assenteismo, spesso prolungato (burn-out, …) ma anche una tendenza a ridurre l’orario lavorativo o a cambiare settore professionale.

La realtà del lavoro sul campo non è più in linea con ciò che solitamente motiva il personale sanitario (aspetto umano, visione globale, …). L’immagine negativa che ne emerge allontana ulteriormente i giovani che non considerano più queste professioni come lavori in cui investire il proprio futuro. La scarsità crea un circolo vizioso di deterioramento delle condizioni di lavoro e delle cure.

È importante notare che la mancanza di personale accentua ulteriormente la difficoltà nel conciliare vita professionale e vita privata: questo è uno dei motivi delle dimissioni e della mancanza di attrattiva per i giovani.

Nei paesi in cui il finanziamento degli ospedali avviene attraverso assicurazioni private (ad esempio, nei Paesi Bassi), la pressione sulla produttività del personale è ancora maggiore.

In questo contesto di carenza, l’uso di personale interinale diventa comune: i lavoratori temporanei trovano la possibilità di scegliere gli orari, spesso meglio remunerati, lasciando al personale ancora in servizio gli orari più gravosi senza; ma si devia anche una parte del budget dedicato alle cure verso società commerciali.

In Italia, ad esempio, gli operatori sanitari lasciano il settore pubblico ma spesso vi tornano come fornitori di servizi privati (pagati per prestazione – a « gettone »- e con maggiore libertà nell’orario di lavoro).

A questo punto, non si tratta solo di trovare soluzioni per migliorare le condizioni di lavoro, ma di gestire effettivamente la carenza di professionisti, la quale sta influenzando in modo crescente la qualità delle cure e la loro accessibilità (chiusura di servizi, liste d’attesa sempre più lunghe, desertificazione medica, concentrazione degli operatori, selezione delle patologie).

I tentativi nazionali di contrastare la fuga di personale, in un quadro di riduzione di bilancio e sotto la pressione delle indicazioni della Commissione europea, si rivelano se non inefficaci, almeno totalmente insufficienti nel contrastare il fenomeno della carenza di personale.

La tentazione diventa molto forte: cercare di attrarre professionisti sanitari da paesi con un costo della vita più basso, sia all’interno di altri paesi europei (Romania, Polonia, Estonia, Portogallo, …) sia del Sud (Filippine, Maghreb, …). In Romania, un quarto dei posti di lavoro nel settore medico è vacante. In alcune regioni della Bulgaria, resta solo la metà del personale sanitario…


[1] Rapporto informativo n° 563 (2019-2020) di Pierre MÉDEVIELLE , fatto in nome della commissione per gli affari comunitari, presentato il 25 giugno 2020